Sempre peggio.....
MARCHIONNE HA MESSO UNA LAPIDE SUL TORMENTONE PER SALVARE LA FIAT.
È stato davvero commovente l'abbraccio con cui Emma Marcegaglia e Sergio Marpionne si sono salutati ieri davanti agli 800 industriali riuniti a Torino per un convegno.
Anche il sindaco Fassino che nella sua vita ne ha viste di tutti i colori, era commosso, e sull'onda dell'emozione si è lanciato in un discorso a difesa della vocazione manifatturiera della sua città. Il buon Fassino forse non ha ancora capito che la prima capitale dell'automobile sta diventando una cartolina ingiallita, ma a ricordarglielo è stato l'intervento di Sergio Marpionne, il manager dal pullover sgualcito al quale dal 1° giugno 2004 la Sacra Famiglia degli Agnelli ha messo nelle mani il ferrovecchio della Fiat.
E tanto per non smentire la sua fama di uomo duro e verace, il capo di Chrysler è salito sul palco e ha fatto cadere sulla platea parole raggelanti. Questa volta non ha fatto discorsi carichi di significato politico e di rimpianti come quello pronunciato a ottobre dell'anno scorso a Firenze davanti ai Cavalieri del Lavoro quando disse che l'Italia aveva perso il senso delle Istituzioni e si erano aperti i cancelli dello zoo. E nemmeno ha ripetuto i concetti di un articolo di gennaio quando senza mezzi termini ha scritto: "in certi momenti mi sono chiesto se ne valeva la pena".
Con il candore apparente che lo distingue, ha semplicemente detto che Fabbrica Italia, il famoso piano per rilanciare l'azienda nel nostro Paese, "era solo una dichiarazione di intenti"

. Se Fassino, Cota, la Marcegaglia, Tronchetti Provera, l'ex-ambasciatore Spogli e gli altri 800 imprenditori presenti avessero capito al volo il significato autentico di un'affermazione così grave, avrebbero dovuto alzarsi e in silenzio lasciare la "Sala Giovanni Agnelli". Perché una cosa è certa: con le sue parole così inconsuete sulla bocca di un manager di fama internazionale, Marpionne ha messo una lapide sul tormentone che dall'aprile 2010 è stato sbandierato come la ricetta miracolosa per salvare la Fiat.
A dire il vero la sua ricetta il manager italo-svizzero-canadese-amerikano l'aveva già annunciata il 22 dicembre 2009 durante l'incontro che si svolse a Palazzo Chigi davanti ai ministri, Gianni Letta, i presidenti delle Regioni e ai sindacati. In quell'occasione Marpionne si divertì a buttare sul tavolo un documento di 39 pagine con 59 slides (scelte e disegnate da lui stesso) in cui tracciava le linee generali del Piano industriale per i successivi due anni.
Dopo pochi mesi Luchino di Montezemolo lasciò la Fiat e la Borsa schizzò all'insù all'idea che si fosse chiuso un ciclo storico e che Fabbrica Italiana sarebbe diventata la chiave del cambiamento. C'è poi chi ricorda che dopo la presentazione del nuovo progetto-Italia avvenuta in aprile con grandi squilli di tromba, sui televisori italiani apparve uno spot curato dall'agenzia di pubblicità Leo Burnett che in 60 secondi spiegava agli italiani la promessa della Fiat. Era il giugno 2010 e lo spot fece piangere milioni di famiglie perché si vedeva un padre che cullava il suo bambino e ragionava ad alta voce su "Fiat Fabbrica Italiana", un'idea vincente per il futuro.
Da allora quel bambino, scelto dal regista Luca Lucini, è cresciuto, mentre Fabbrica Italia è dimagrita fino a rotolare tra i piedi della platea torinese come "una dichiarazione di intenti". È inutile adesso che Fassino insista sulla vocazione manifatturiera della sua città e che la Marcegaglia si scomponga la chioma in un abbraccio affettuoso con il figlio del carabiniere Concezio. In questo anno gli operai di Mirafiori hanno lavorato 35 giorni su 205 e i sei stabilimenti italiani sono stati utilizzati al 55,8% delle loro potenzialità.
Il destino è segnato e a nulla vale chiedere spiegazioni al grande manager. Qualcuno ha provato a farlo ma si è sentito rispondere: non ci pare logico che la Fiat debba fornire dettagli di previsioni pluriennali".
Più chiaro di così?